“Un giorno mi racconterai” di Irma Kurti

Prefazione alla raccolta poetica. di Lorenzo Spurio

Seguo da anni, con inesauribile interesse e grande curiosità, l’attività poetica di Irma Kurti sulla quale ho avuto modo di esprimermi nel corso del tempo. Per me è un rinnovato onore poter aprire le preziose pagine di un suo nuovo libro. Così ricco di vita, di emozioni, d’immagini che guardano con grande passione a un passato che sempre più si allontana dalla quotidianità liquida dei giorni.

La sua è una poetica attenta alle particolarità delle situazioni, alle immagini che hanno il potenziale di far risalire alla mente ricordi assai vividi. Piacevoli al ricordo, come una brezza d’aria fresca, ma al contempo dolorosi, perché palesano la distanza da quello ieri edenico e spensierato, vissuto nella pienezza dei sentimenti e in compagnia di figure amorevoli come i genitori ai quali la raccolta è dedicata.

Se è vero che predomina un sentimento di profonda malinconia e di dolente attesa (pur illusoria), d’altro canto questi componimenti sono il mezzo preferenziale col quale la Nostra – ancora oggi – è in grado di mantenere vivo quel legame con i suoi cari. Presenze indissolubili nella sua esistenza, che abitano in maniera ubiqua e onnipresente, ogni luogo del suo vissuto.

Come già osservato altrove, l’immagine dei propri genitori è ricavata non solo nei momenti di serenità nei quali gli stessi erano circoscritti in un’età di felicità, in cui la vita scorreva normalmente senza particolari preoccupazioni, ma anche nei momenti più aspri che la Poetessa rievoca con un misto di tristezza e rancore, come nella lirica dedicata all’amata madre: “Le strade si espandevano davanti / a te, senza inizio e senza fine, e tu / tentavi di raccogliere i rimanenti / stralci dei tuoi desideri che come / nuvole nel crepuscolo svanivano”. La poesia diviene, allora, essa stessa sentimento del tempo e si colora via via d’immagini di tormento per l’afflizione del dolore provato dalla malattia dei suoi, da ansiti di fuga e di voglia di sperare, ma anche dalla descrizione attenta degli ambienti, delle circostanze, delle mutevolezze del tempo e delle stagioni. Tutto descrive con esattezza il cambio del tempo, la sua irrefrenabile evasione che ci fa scoprire esseri fragili, transeunti, in continuo divenire, sottoposti all’intemperie umane del distacco, del lutto, dell’assenza. Sono – per dirla con Van Gennep – i momenti in cui l’essere in maniera conscia elabora il passaggio da uno stadio all’altro, in cui non di rado le zone liminari, di frontiera, rappresentano esperienze di cupezza e di confusione, vissute in una solitudine lacerante e in una ricerca frenetica di ragioni che, purtroppo, non possono essere identificate.

Il libro presenta, comunque, una varietà tematica abbastanza ampia, che lo fa godibile e persuasivo per il lettore. Ritroviamo il sentimento di nostalgia per la patria (“io desidero / sciacquare il mio corpo lì dove / scorre con impeto una cascata” e poi ancora “Noi avevamo il mare vicino e bastava poco / per tenere tra le mani le onde”) ma anche l’affaccio sui canonici rovelli esistenziali che situano l’uomo in aporie invalicabili, in dilemmi impraticabili (“Chi ti accompagnerà nei sogni, / […] quando / io non ci sarò più in questa vita?”).

La Poetessa riflette anche sul valore autentico della parola e sulla facilità di un dire che spesso rivela ipocrite costruzioni verbali (“nessuno crede alle loro parole, nemmeno / quelli che le hanno scritte con passione”) segno di una realtà in cui si è compiuto uno scarto insanabile tra significato e significante e nella quale l’incomunicabilità e la sciatteria, anche all’interno del mondo dei sentimenti che dovrebbe essere tutelato con ardore, sembrano divenire protagoniste. A tutto questo viene contrapposto un linguaggio metafisico, senza tempo, fatto di sonorità percepite nell’interiorità, di dialoghi sottaciuti e percezioni che avvicinano la Poetessa ai suoi amati, una sorta di ultrasuoni impercettibili ai più che fortificano, però, nel silenzio, un legame d’amore che mai si è sciolto, neppure con la morte (“La forza del tuo pensiero mi porterà da te / per far svanire tutte le tristezze”). Irma Kurti, che è poetessa di spessore, inscritta nel tracciato etimologico della parola “poesia”, si mostra donna attenta e passionale nel tracciare sulla carta, grazie al suo piglio geniale e alla creazione che la sostiene, immagini, forme e mutamenti che ci affascinano e ci fanno domandare: “Raccolgo ruscelli di pioggia / nelle mie mani come piccoli / stagni e trasformo i fulmini / in lampade per illuminarti la / strada quando tornerai da me”.

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