Le onde chiamano il tuo nome, di Irma Kurti

Una recensione di Simona Fiorucci     (Tratto da Scritturaviva.it)

«In piedi, signori, davanti a una donna, / per tutte le violenze consumate su di lei / per tutte le umiliazioni che ha subito / per il suo corpo che avete sfruttato / per la sua intelligenza che avete calpestato / per l’ignoranza in cui l’avete lasciata / per la libertà che le avete negato / per la bocca che le avete tappato / per le ali che le avete tagliato / per tutto questo / in piedi, Signori, davanti ad una Donna. / E non bastasse questo / inchinatevi ogni volta che vi guarda l’anima / perché Lei la sa vedere / perché Lei sa farla cantare /… /».

 

I versi sopra citati che appartengono a uno spettacolo teatrale, il Chisciotte – tratto dall’opera di Cervantes – di William Jean Bertozzo, hanno il potere non solo di sensibilizzare e far riflettere sull’annoso problema della violenza sulle donne, ma anche di riportare alla luce il concetto di sacralità delle stesse. Sulla medesima linea d’onda si pone il romanzo Le onde chiamano il tuo nome (Besa edizioni, pagg. 152) dell’autrice Irma Kurti – scrittrice ben conosciuta nel panorama culturale per le sue opere di spessore – che affronta, appunto, il tema della violenza fisica e verbale contro le donne; fenomeno, purtroppo, in continua crescita.

Con una scrittura composta, attenta e incisiva la Kurti riesce a parlare al cuore delle donne, ma anche agli uomini che la nostra società educa, sfortunatamente, più al possesso che all’amore e al rispetto. E allora, sembra comunicarci l’autrice, quando il rispetto non sempre sopraggiunge dall’universo maschile, spetta a noi donne difenderlo e, qualora lo si perda, riprendercelo. Non ci si può immolare per un uomo fino al punto da perdere l’amore per noi stesse. L’amore è amore. Non è paura, non è violenza, non è sottomissione, non è silenzio. L’amore è la stessa voce che l’autrice fa filtrare attraverso la narrazione di questo intenso romanzo che vede come protagoniste Laura e le sue due figlie: Dea e Mirella. Laura, dopo una vita di sofferenze, ha ormai perso la sua anima. Ha dimenticato cosa significa vivere. Ha scordato chi è, e non ricorda più chi siano le sue figlie. Si ritrova, ad un certo punto della sua vita, in una casa di cura. La sua esistenza dal momento in cui si è sposata è stata una continua sopportazione, un perenne giustificare i comportamenti violenti del marito, un continuo subire dilanianti vessazioni. E come capita in qualsiasi sistema – così come lo è la famiglia – dove ogni anello, nel bene e nel male, è legato all’altro, Laura non è l’unica a soffrire per quello che lei crede amore, ma che non ne ha neppure la parvenza. Se una moglie sceglie di continuare a vivere con un marito violento, dovrebbe aver ben chiara la consapevolezza che la sua decisione peserà, volente o nolente, su quella dei figli. Così Dea e Mirella reagiscono, ognuna a proprio modo, maturando insicurezze, timori che si ripercuoteranno nella loro vita futura, anche nell’approccio con l’altro sesso, creando scudi e muri di “indifferenza” che finiranno poi con il minare anche il rapporto tra sorelle. Esiste, però, fortunatamente, un punto di rottura di quegli equilibri malsani che qualcuno vuole a tutti i costi difendere, giustificare e perpetuare. E tale punto di rottura arriva per le giovani donne non con la morte di quel padre che aveva causato loro tante sofferenze, bensì con la scomparsa di Laura, la loro madre. Sarà proprio questo evento inatteso e sconvolgente, e la preoccupazione per le sorti della stessa madre, perché non sanno dove si trovi, che consentirà alle sorelle di ripercorrere il loro passato, di guardarlo con occhi diversi, più maturi e di aprire la porta alla possibilità tanto attesa di ricostruire quell’affettività che, a causa della sofferenza, era rimasta inespressa, congelata. Non sarà facile per Dea e Mirella intraprendere il sentiero dei ricordi, perché nulla vi è di confortante in quel duro passato privo di gesti d’affetto da parte di un padre assente, violento e dipendente dall’alcol che ha segnato in maniera così incisiva le loro vite. Quando l’esistenza si impregna di dolore, accade che i rapporti già fragili si corrodano ancor di più, aumentando quelle distanze che, ad un certo punto, vengono vissute come insormontabili.

Brava l’autrice nel disegnare il vissuto delle tre donne, ponendo al centro delle descrizioni ora i pensieri di Laura, ora quelli di Dea, ora quelli di Mirella. Una storia di sofferenza davvero toccante, reale, nella quale molte donne, soprattutto coloro che hanno subito violenza, potranno identificarsi con la certezza, tuttavia, che da simili ingiustizie si possa rinascere, perché la sofferenza fortifica; e l’amore, se la donna è consapevole della necessità di riappropriarsi dell’amore per sé stessa, riesce sempre a trovare il modo di superare il male.

Le onde chiamano il tuo nome: un’opera di sofferenze ma al contempo di speranza che ci si augura possa in qualche modo educare nel dare alla vita, all’amore e all’essere donna il giusto senso e riconoscimento.

Simona Fiorucci

Irma KURTI. Le onde chiamano il tuo nome. Romanzo, Besa Editrice, 2021

 

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