Recensione N.19: “Cercando Lindiwe” di Valentina Acava Mmaka

A cura di Francesca Chiarla

“Mentre si addormentava, ella posò una mano morbida sulla terra. Fu un gesto di appartenenza.”

lindiweCon queste parole della scrittrice sudafricana Bessie Head si chiude il romanzo “Cercando Lindiwe” di Valentina Acava Mmaka, reporter e mediatrice culturale nata a Roma ma cresciuta e vissuta in Sudafrica e Kenya. Il gesto piccolo e quasi insignificante di appoggiare il palmo della mano sulla terra racchiude in sé il significato intrinseco e più profondo della testimonianza della protagonista che, in questo testo, parla della propria esistenza da esiliata dal regime segregazionista che dal 1948 al 1994 ha piegato il Sudafrica. Il lettore avrà fin da subito la percezione di un senso di appartenenza scisso proprio perchèscissa è la personalità della protagonista. Il romanzo, infatti, ruota attorno alla dualità Lindiwe/Ruth; Lindiwe che ha lasciato il Sudafrica per sopravvivere ad una realtà fatta di soprusi ed umiliazioni contro la quale si stava battendo assumendo una radicale presa di posizione e Ruth, la donna esiliata, che viene fuori proprio perchè il passato vuole essere negato e dimenticato: “Lei è rimasta sepolta il 23 Novembre 1960, quando ci siamo imbarcati; si è addormentata, mi ha abbandonata e io le sono stata vicina, ho cercato di farla parlare, di farla dialogare con me, con la mia esistenza nuova, quella che ho dovuto far nascere con l’esilio, Ruth.” (pag.30)

Proprio questa sembra essere, in generale, la condizione dell’esiliato, ancor più dolorosa perchè costretto ad abbandonare nell’oblio e nella menzogna la sua vita precedente in nome di una libertà finta e vigilata dove non vengono ammessi errori. Ruth stessa si definisce una donna in “semi-libertà”, perchè il prezzo che ha dovuto pagare per essere libera di muoversi, parlare e lavorare in un nuovo paese prevedeva l’abbandono della propria identità, della propria lingua e delle proprie radici. Anche la scrittura che, in patria, era il suo strumento per comunicare e per comunicarsi, in esilio la abbandona e la imprigiona nuovamente confinandola in una situazione di forte incomunicabilià, pechè una delle prime e principali cose venute a mancare è proprio la lingua madre senza la quale esiste solo l’incapacità di esprimersi. Ancora una volta viene affrontato il tema dell’identità che passa inevitabilmente attraverso il patrimonio linguistico inscindibile dalla natura e dalla cultura di un popolo. Scrivere i propri pensieri e le proprie emozioni in una lingua straniera, quindi, sembra essere inconcepibile, perchè sarebbe come negare una parte di se stessi: “Scrivere in un’altra lingua sapeva di tradimento!…La lingua è il luogo dove nasciamo, viviamo, amiamo, è il luogo che racconta chi siamo e da dove veniamo, è la memoria della nostra generazione…” (pag. 48)

L’analisi attenta e meticolosa di cosa significhi trovarsi in esilio viene scatenata da una data, il 27 Aprile 1994, giorno in cui tutti i giornali del mondo celebrano la fine del regime di apartheid in Sudafrica. Dopo 33 anni trascorsi in un altro paese, Lindiwe/Ruth si ritrova improvvisamente libera di poter ritornare in una patria che forse non riconoscerà più e che forse è troppo cambiata per poterla accogliere come lei aveva sempre sognato. In queste pagine inquiete, la protagonista è completamente in balia delle proprie paure, sia per se stessa non riuscendo a concepire il ritorno in un luogo in cui non si è esistiti per 33 anni, che per la figlia nata in esilio che non conosce quest’altra patria, sua di sangue ma che non ha mai imparato ad amare.

La presa di coscienza che il futuro di libertà che tanto si era atteso è diventato presente, rievoca antiche memorie portando la donna esiliata Ruth a risvegliare l’altra parte di sé che per tanto tempo aveva messo a tacere cercando di cancellare, così, le sue origini ed il ricordo doloroso della sua terra abbandonata. E sarà proprio grazie a Lindiwe, la metà africana di Ruth, che la protagonista decide di ritornare compiendo un viaggio che va al di là della distanza chilometrica e che si nutre del ricordo e dell’assenza. La liberazione della donna esiliata avviene nel momento in cui lei stessa comprende che la sua prigione non aveva fondamento nella condizione che stava vivendo, bensì aveva edificato le proprie basi nel suo cuore e nella sua anima. La decisione di tornare per essere parte nuovamente della Storia sudafricana libera la penna per permettere di descrivere la rinascita di una donna che sta percorrendo un cammino a ritroso per seguire, in realtà, la strada che la porterà al centro della sua vita.

Utilizzando uno stile vario e non banale, che spazia dalle citazioni letterarie di scrittori in esilio ad una ricostruzione cronologica di fatti ed avvenimenti, l’autrice di questo romanzo ripercorre alcune tappe importanti della storia del Sudafrica, troppo spesso ignorata o conosciuta e dimenticata dall’Europa ricca ed evoluta. Ed in questo susseguirsi di immagini, il ritmo narrativo viene scandito da un passato costruito su frammenti di memoria, un presente immobilizzato dall’esperienza dell’esilio ed un futuro del quale si fa fatica a parlare per paura che non arrivi mai. Lindiwe/Ruth riesce, alla fine del testo, a far confluire questi tre periodi della propria esistenza trovando la soluzione ancora una volta in se stessa e più precisamente nell’etimologia del suo nome; Lindiwe significa, infatti, “colei che ha atteso”. Consapevole, ormai, di quello che per lei ha rappresentato l’esilio, la donna liberata può andare a testa alta incontro alla sua patria, fra la sua gente: “Seguirò passo passo la via che dalla periferia del mondo mi condurrà al centro della mia vita.” (pag. 90)

 

Cercando Lindiwe. Valentina Acava Mmaka, Epoché, 2007, Pp. 180, Euro. 12,00, ISBN: 978-88-88983-15-8