Recensione 40: “Il pesce rosso” di Anna Belozorovitch

Una recensione di Monica Buffagni.

Emozionante, avvolgente e spietatamente vera, la poesia, come gelida e fumante ovatta, di Anna Belozorovitch, raccolta ne “Il pesce rosso” (Il seme bianco, 2017), oscilla e riempie un giro circolare attorno all’amore e alla sua complessità, raccogliendo istanti, ricordi e attese che appartengono alla natura umana, ad ognuno di noi. 

Mescola con apparente noncuranza passato e futuro, fotografa cruda il presente nella sua caparbia nudità, lo intreccia agli echi di ciò che è stato, nella tensione desiderante di ciò che sarà. L’autrice interpreta l’amore in un’ottica profondamente, intensamente, soavemente femminile, nella forza e disperazione dell’assoluto femminile, che-solo-sa contenere in sé anche il principio maschile, nella sua apparenza e nella sua profonda fragilità, confusione e incompiutezza.

Incanta, Anna Belozorovitch, incanta con le sue parole dure e tenerissime, morbide come la pioggia di un mattino di primavera e pungenti come le raffiche di un lontano vento autunnale. L’incontro degli amanti racconta l’affannosa ricerca dell’assoluto, di una inafferrabile e misteriosa felicità, che a tratti assume le sembianze altrui, in una danza che va oltre i corpi, oltre il desiderio, oltre lo stesso-indefinito-amore, per raggiungere una inquieta stasi, attimo eterno e incomprensibile in cui la vita stessa si scompone in un mosaico di contrasti.

L’oggetto d’amore è inafferrabile, contiene già in sé la perdita, l’abbandono, il volgere della vita come un fiume placido che sboccia in tempesta, improvvisa eppure attesa, contiene già il “seme bianco” della sofferenza, del distacco, del dolore, già nei gesti, negli istanti, nel presente saturo di passato e colmo di desolato futuro.

La Belozorovitch dipinge con parole, di fuoco e di acqua, di passione e di tormento, il processo atavico e sempre rinnovato dell’incontro come fulcro del cambiamento.

Di intensa, profonda e struggente bellezza, simile al fascino vittoriano e decadente di un paio di guanti di seta in un angolo di pizzo violetto, sono le liriche dedicate alla “lettera nella borsa”: la lettera “stracciata” (p 23) e poi “piegata” (p 38 ), scritta, desiderata, vissuta, colma di parole, pensieri irrigiditi di incomunicabilità, misteri galleggianti e inespressi nel segreto della coppia, eterna tensione della mancanza, la lettera che non arriverà, non sarà consegnata, vivrà-“anima che nasce e che vuole un destino”-, oltre l’amore, oltre la vita stessa.

Ricorrono costanti, nella poetica dell’autrice, i temi dell’attesa, sull’onda di un Leopardi rivisitato, della distanza emotiva, fisica e temporale, che separa il sé

dall’altro, anche nei momenti di apparente massima condivisione e vicinanza. Ci si rincorre, nel tentativo di una fusione impossibile, di un possesso negato a priori, così legato all’identità da sembrare sogno inafferrabile. Si avverte, forte e nitido, un senso di straniamento tra i protagonisti de “Il pesce rosso”, come se l’incontro con l’altro fosse il detonatore della crisi, il nucleo fondante della perdita di identità personale, di stabilità, di sicurezza apparente e portasse fuori dal sé, alla ricerca del sé nell’altro, nei confini indistinti della relazione con il diverso da sé. L’oggetto d’amore, ricercato, rincorso, afferrato, perduto, atteso, lasciato: quanto di noi, dell’altro da noi e ancor più, della dicotomia femminile/maschile alberga in questi versi?

© Monica Buffagni. Tutti i diritti riservati.

 

Anna Belozorovitch . Il pesce rosso . Poesia. Ed. Il Seme Bianco.  2017 . EAN: 9788885452381