“Diversa come te” di Monica Buffagni

Recensione e intervista

di Karim Metref

E’ uscito nel 2020 per la casa editrice KANAGA, fondata dal poeta italo-senegalese Cheikh Tidiane Gaye, DIVERSA COME TE, di Monica Buffagni.

Monica, oltre a collaborare con Letterranza con le sue stupende recensioni, è una insegnante-poetessa. O forse una poetessa-insegnante. La missione educativa e la passione per le parole e per la poesia, formano un tutt’uno in Monica. Si abbracciano e si mescolano in continuazione.

E’ questo connubio tra l’educatrice che considera il proprio lavoro come una missione, un impegno umano e civile, e la scrittrice che considera la poesia la più alta forma di comunicazione tra gli umani, che dà la linfa e la sostanza di questo lavoro.

Diversa come te” è uno di quei libri che faccio fatica a catalogare in una categoria precisa. Un saggio? Un manuale? Una riflessione? È tutto questo e anche altri ancora.

La migliore definizione che sono riuscito a darmi di questo libro è che è l’opera di una insegnante appassionata del suo mestiere, impregnata dalla missione suprema dell’educazione, quella di formare cittadini responsabili e solidali, ben inseriti nel loro ambiente naturale, sociale e culturale. Ma anche ben inseriti nel mondo e nel momento storico in cui vivono.

La poesia, come mi disse una volta il poeta palestinese Mahmud Darwish, può essere considerata tale solo se attinge ai valori più alti dell’umanesimo: l’amore, la bellezza, la compassione, la solidarietà, la ricerca della pace, l’empatia…

Lo “strumento” individuato dall’autrice per portare questi valori al centro del fare educativo è l’intercultura. Ma educare in modalità interculturale, ci dice Monica Buffagni, non vuol dire FARE intercultura, come si dice spesso a scuola, ma ESSERE intercultura.

Il libro consiste in 8 capitoli più una breve prefazione (scritta da Raffaele Mantegaza, una figura di prua della pedagogia interculturale in Italia), una introduzione e un glossario.

Il primo capitolo riassume un po’ i numeri della presenza di cittadini stranieri in Italia e in particolare nella regione Emilia-Romagna accompagnati da alcuni cenni di analisi sociale dei fenomeni migratori e di diritto dell’immigrazione.

Il secondo capitolo invece si concentra sulla presenza di alunni di origine straniera nelle scuole italiane in genere e in quelle della regione Emilia-Romagna in particolare.

I capitoli 4,5,6 e 7 sono approfondimenti sulla dimensione interculturale nell’educazione, teoria, pratica, strumenti e esperienze concrete. Con contenuti speciali, interviste e esperienze vissute.

L’ultimo capitolo invece è un racconto “ Hami e le gazzelle del vento”. Si tratta della storia di una bambina, Hami, che giocava con le parole nel suo paese e che all’improvviso si trova catapultata in un nuovo paese, di cui non capisce tutte le parole.

L’intercultura come obiettivo educativo fu introdotta nella scuola italiana all’inizio degli anni 90, in concomitanza con le prime leggi sull’immigrazione. Molti insegnanti continuano a considerare. 3O anni dopo che intercultura è uno strumento per integrare gli studenti stranieri. Il libro di Monica Buffagni viene per ricordare, ancora una volta, che intercultura è ciò che aiuta a integrare gli studenti, tutti, nel mondo di oggi. Uno strumento non utile, ma indispensabile per la sopravvivenza nel mondo globalizzato.

DIVERSA COME TE (viaggio nella società multiculturale. Uno sguardo libero sul mondo) di Monica Buffagni Edizioni Kanaga 2020. 15,00 Wuro. ISBN: 8832152487

Intervista

D.  Il concetto di intercultura fa incursione nella scuola italiana verso l’inizio degli anni ’90 in concomitanza con le prime leggi sull’immigrazione. Che bilancio faresti, da insegnante e scrittrice insieme, su questi 30 anni? L’intercultura è riuscita ad entrare nella scuola italiana?

Monica Buffagni: La scuola è specchio della società e contiene in sé le forze, le debolezze, le contraddizioni della realtà storica di cui fa parte. Il percorso storico e sociale italiano è forse particolarmente travagliato e frastagliato.

L’Italia si accorge più tardi di altri Paesi, quali il Canada e gli Stati Uniti d’America, del particolare ambito di studio e di ricerca portato dai flussi migratori, si adatta e sperimenta nel tempo, con vari arresti e proposte innovative a volte contraddittorie. Se cominciamo a parlare di una pedagogia interculturale ,sostenuta da varie altre discipline, quali la psicologia, l’antropologia, la sociologia e da una nascente cultura che affronta i temi delle differenze linguistiche, etniche, culturali così come si affaccia ai temi della difesa dei diritti umani, dell’ambiente, della pace – e come sono attuali oggi, veri nuclei centrali dell’azione e del pensiero delle società e dei governi attuali, comunque la pensino e comunque scelgano di muoversi- se, appunto in Italia si parte dai primi anni ’90, è anche vero che numerosi sono stati i passi avanti, compiuti dal legislatore e da chi applica le normative nel quotidiano .Nel mio libro ,ripercorro tale storia, indugiando sulle direttive e sugli indirizzi di pensiero e di concreta realizzazione che si sono susseguiti negli anni ,fino ad arrivare ai giorni nostri. Certamente, va ricordato che la composizione multietnica della società, e quindi della scuola, non è più un’emergenza: è un dato strutturale da mettere a sistema e che costituisce, almeno sulla carta, parte integrante di curricoli, azioni educative, scelte. Dove, però, esistono scelte, dove esiste la componente attiva e di adattamento personale ad una realtà, spesso molto diversa, anche solo a livello territoriale, sicuramente è vasta la combinazione e la declinazione di tale indirizzo. I nodi centrali di una pedagogia interculturale sono, senza dubbio, la caratteristica relazionale e il riconoscimento attivo dell’altro, due focus impegnativi e complessi, che mettono in gioco l’intera personalità di chiunque operi, a qualunque livello, all’interno della realtà scolastica, una necessità di comprendere insieme le possibilità strutturali dell’ambiente, le risorse disponibili, le diverse sensibilità, le diverse situazioni.

Ho preso in esame, nelle mie ricerche, varie realtà locali, oltre che quella nazionale, proprio per approfondire e valutare le differenti situazioni attuali e riflettere sulle principali necessità, che certamente, esistono .Fondamentale è poter disporre di una forte rete di sostegno e di indirizzo, forse più pratico che teorico, che faccia da base al lavoro di ogni giorno, che non lasci mai solo chi desidera impegnarsi in prima persona in un serio lavoro interculturale; persistono alcune rigidità strutturali nel sistema-scuola, così come resistenze interne, spesso causate da ciò che Beck e Bauman, i sociologi della globalizzazione, definiscono “solitudine “, un senso di disagio che può afferrare chi si sente perso tra molteplici richieste, a diversi livelli e si trova, suo malgrado, a risolvere problemi sistemici a livello individuale. Lavorare su dinamiche relazionali, interfacciandosi con un sistema, impone certo maggiore impegno; è anche vero che, anche in questo caso, sono le persone, le loro scelte, le loro sensibilità, a fare la differenza. E’ tuttora necessario un approccio interculturale, non soltanto alla educazione, alla didattica, ma a tutte le sfere e le componenti della società, ricordando che la provenienza è solo un elemento della vasta riflessione sulle differenze e la loro insita ricchezza.

Va anche ricordato che in campo scolastico-educativo, sono presenti dinamiche significative e pregnanti, che incidono sulla reale inclusione, oltre le normative attuali; penso alla relazione tra i vari componenti del sistema educativo, penso al ruolo delle famiglie, spesso “trainate” dai figli, attraverso la scuola, verso un rapporto più completo con la società accogliente. Non si può non ricordare che la scuola gestisce anche situazioni particolarmente pesanti e delicate; sono ancora molto numerosi i bambini che arrivano in Italia senza famiglia, i minori non accompagnati MSNA, provenienti da situazioni terribili nelle loro terre di origine e alle prese con la nuova realtà attraverso le figure delle autorità competenti delegate alla tutela dei minori (articolo 20 del Testo Unico sulla immigrazione), così come i figli dei rifugiati. E’ anche indubbio che i diversi ordini e gradi di istruzione presentino realtà e risultati differenti, proprio per le loro diverse, intrinseche caratteristiche; se persiste la necessità di aumentare la frequenza alla scuola dell’infanzia, così la formazione dopo l’obbligo scolastico e in età adulta, anche per gli stretti legami con il mondo del lavoro produttivo, impongono adattamenti alle maggiori criticità.

D.  Molto è stato scritto sul tema da allora. Perché hai considerato utile scrivere un libro sull’intercultura da vari punti di vista, tra i quali la scuola, oggi in Italia, e in Emilia Romagna?

Monica Buffagni: Il mio libro è e vuole essere una riflessione documentata sull’intercultura, vista da punti di vista diversi, siano essi sociali, legislativi, educativi, letterari, culturali, una sorta di report attuale, per fare il punto sull’approccio, l’atteggiamento, le conquiste e le criticità di questo filo rosso che unisce l’umanità, tematica assolutamente odierna, essenziale, vibrante di attualità, che vediamo snodarsi nella informazione e nella cultura di oggi, ormai da tempo ineludibile. Lo stesso titolo desidera sottolineare come l’identità di ognuno di noi si fondi sul rapporto, sulla relazione con l’altro, nel delicato e complesso incontro tra il sé e l’altro da sé, tra il conosciuto e l’ignoto, lo “straniero”, appunto, emergono necessariamente le differenze, le diversità, elementi che, se analizzati e vissuti apertamente con la disponibilità coraggiosa ad affrontare ciò che ad una prima lettura può risultare buio e scomodo, possono rivelarsi affinità, punti in comune. La diversità, intesa in senso lato, non soltanto il provenire da altrove, è il maggiore collante tra individui e la migliore occasione per riscoprire la comune matrice umana e offre occasioni inaspettate di confronto e crescita. Sono temi che appartengono alla mia poesia, come alla saggistica, temi che afferiscono alla linguistica, alla letteratura, alla cultura e alla vita sociale e politica. Se gli opposti si incontrano, ne nasce un nuovo percorso, che attinge dai due elementi senza prevaricare e sottomettere. La stessa educazione o è interculturale o non è educazione-ci ricorda il noto prof Mantegazza nella prefazione al volume-, proprio perché educare è mediare, è favorire l’incontro tra realtà diverse e apprenderne il risultato, in continua evoluzione. La base di tutto ciò è la lingua, veicolo e motore di identità, costruzione e ponte di messaggio, significato e comunicazione; nel momento in cui parlo e/o comunico, esisto e rendo reale il mio esistere. La lingua è il cardine di un processo interculturale e io, che la insegno e vivo di parole, nelle loro forme diverse, sono un ingranaggio di tale processo condiviso.
“…Ho avuto fame di parole/ho avuto sete di parole…. (da “Straniero” – Piume di ghiaccio – Kanaga ed. )- ho scritto nei miei versi. Già nel 1979, Hymes diceva che si è dotati di competenza comunicativa, nel momento in cui si sa scegliere quando parlare e quando tacere… e proprio per questo fondamentale ruolo della lingua, ho dato ampio spazio nel mio libro ad un glossario, un piccolo insieme di lessico, in cui trovare e riflettere sui termini che parlano di intercultura e di diversità, numerosi e dalle molteplici sfumature. Credo, unitamente a molti studiosi e risultati di convegni e rapporti, che sia imprescindibile la necessità di una rielaborazione meditata della terminologia da adottare. Le parole veicolano cultura e atteggiamenti, comunicano e cambiano il pensiero; se è vero che si teme ciò che non si conosce, che è diverso da noi, e troppo simile al nostro lato-ombra, è altrettanto vero che ciò si supera con la conoscenza, l’informazione, l’avvicinamento graduale e rispettoso verso il mondo dell’altro. Sono i passi essenziali per formare una cultura dell’accoglienza, intesa non come accettazione acritica, ma come convivenza utile e attiva.

“Ogni volta che ho cercato me stesso, ho trovato gli altri. Ogni volta che li ho cercati, in loro ho trovato me stesso straniero” dice Darwish. Lo strumento-parola si fa chiave e portatore di cultura, si fa ponte di comunicazione e si manifesta anche attraverso la letteratura, voce collettiva quanto più è personale; non a caso, ho voluto nel libro raccogliere le voci di scrittori di lingua altra, tra i quali anche tu, Karim, proprio per sottolineare il senso del riflettere, del comunicare, per una crescita dell’intera società e del singolo. Certamente, le idee vanno supportate con politiche e scelte a vari livelli, consci della complessità delle situazioni e delle diverse posizioni. Scopo del libro è anche permettere al lettore di formarsi un’opinione in merito, ritrovandosi nelle storie narrate, ripercorrendo una breve analisi sociale del fenomeno interculturale, di soffermandosi sulla storia della legislazione italiana in merito alle tematiche dell’immigrazione.

D. Nel tuo insegnare, ma anche nel tuo parlare di intercultura e di educazione, introduci sempre l’elemento Poesia. Che valore, che utilità ha la poesia in educazione? E in educazione interculturale?

Monica Buffagni: Io scrivo poesia, pubblico poesia, leggo e scrivo di poesia, che rappresenta la mia forma espressiva di elezione, quella maggiormente in sintonia con il mio essere, anche se spesso si incontra con la saggistica, come nel caso di “Diversa come te”, e mette in atto un complesso e delicato meccanismo di fusione e reciproco scambio con essa, riprendendo peraltro il tema della comunicazione, del rapporto con il sé e l’altro da sé, che costituisce il nucleo fondante della mia poetica, tesa ad uno studio e utilizzo profondo e meditato dell’ossimoro, dell’opposto come ricerca di conciliazione e percorso umano. Basti pensare alla mia più recente raccolta di poesie “Piume di ghiaccio“ (Kanaga editrice), sulla ricerca comunicativa ,anche lessicale, sul ruolo della parola e della differenza come chiave di incontro personale.

La poesia, a mio parere, è espressione universale ed eterna, che non può e non deve perdere spazio, valore, attenzione. Rappresenta la profondità del sentire umano ed è la voce più sincera ed immediata dell’uomo, anche rispetto ai grandi temi sociali, etici, politici, educativi e culturali dei nostri giorni. Gode di una libertà espressiva preclusa ad altri metodi di comunicazione, è in grado di superare le barriere linguistiche e di pensiero molto più di altri tipi di testo o di scritti. La stessa lingua scritta si può considerare come ricerca di terreno comune negli accadimenti
mondiali e la poesia stessa, apparentemente così lontana dalla realtà sociale, ne è, invece motore strettamente intrecciato e voce libera nella società multiculturale odierna. Sottolineo qui proprio la forte valenza educativa ed espressiva del fare poesia, valenza che si ricollega alla natura stessa di tale modalità espressiva e del suo intenso essere intercultura. Nel momento in cui la lirica è intuizione, come già disse Croce, passione, intensità, è fotografia di un istante compiuto ed irripetibile, una sinfonia di elementi che sorprende e rilegge la realtà, andando oltre le apparenze, la stessa poesia diviene strumento di rielaborazione personale e collettiva insieme, di storia e vissuto da condividere, da utilizzare per crescere e superare barriere .La poesia è fatta di parole, del loro suono, del loro colore, mutevole e suggestivo, della potenza evocativa di una espressione umana e vissuta. Il poeta-sono solita affermare- è un solitario aperto al mondo: l’atto creativo si
concretizza e si fa tale uscendo da sé e riunendo il vissuto collettivo attraverso la propria sensibilità. E’ comunicazione emotiva, che arriva attraverso canali diretti e di comune terreno, è un cercare dentro sé stessi per incontrare l’altro. L’altro, che è diverso da sé, e come tale va avvicinato, conosciuto, accolto. La poesia è profondamente accogliente, è linguaggio che avvicina e trasforma, un linguaggio, oserei dire, interculturale. Gabriel Celaya dice che “La poesia è un’arma carica di futuro”, un ponte educativo tendenzialmente tesa verso ciò che sarà, ciò che verrà, che noi vorremo e potremo fare. La poesia possiede un grande potere di trasmissione, che nasce dall’inconscio con i suoi simbolismi e all’inconscio arriva, attraverso l’intensità della parola, fulcro poliedrico e misterioso della cultura, intesa come patrimonio universale dell’umanità condivisa. Bahia Awah, poeta saharawi, in “Libri”, ci ricorda che “i poeti ravvivano le lettere dove il cielo abbraccia l’immensità dei deserti” e che i libri conducono nelle viscere dei secoli. Come non sentire il fascino e il vigore delle parole poetiche, che si fanno spada e filo verso una crescita umana e personale, collettiva e condivisa, cantano l’uomo e la Terra, difendono i diritti umani in versi rapidi e assoluti, sciabolate danzanti simili a tuoni nel silenzio-penso alla poesia militante di Darwish, che non a caso cito anche in “Diversa come te”, a quella di Rueiyil Uld Emboric -, canti sussurrati e urlati che chiamano le generazioni?

Presentazione di Diversa come te, Vedi il video su Facebook; https://fb.watch/5dvKwf3cvY/

Per più informazioni sul lavoro di Monica Buffagni, visita la sua pagina: https://monicabuffagni23.wixsite.com/scrivere