Recensione N.11: Storie circolari tra Africa e Italia. L’esordio narrativo di Cristina Ali Farah

Madre piccola di Cristina Ali Farah

A cura di Daniele Barbieri

Uno dei grandi tabu della storia italiana c il colonialismo, con il suo carico di razzismo, orrori e bugie: in questi giorni arrivano in libreria due storie che ci costringono a fare i conti con quel che molti non sanno e altri preferiscono rimuovere o indorare. Due volumi che proiettano quelle vicende sull’oggi attraverso lo sguardo delle afro-italiane Cristina e Gabriella che le etichette piazzerebbero nella categoria G-2 [migranti di seconda generazione] ma che soprattutto sono meticcie, cioc nate in una cosiddetta “coppia mista”. Dell’esordio di Gabriella Ghermandi [“Regina di fiori e di perle”] ci sarr presto occasione per riparlare, intanto conviene affrontare “Madre piccola” di Cristina Ali Farah, appena uscito da Frassinelli.

madrepiccolaSi ricorda quel che si vuole: abbiamo una “memoria selettiva” spiega la somala Barni Sharmaarke. Sollecitandoci a non scordare il nostro passato di emigranti, Barni rammenta a una giornalista – proprio nelle prime pagine del romanzo – che esiste una “storia circolare di povera gente mossa dal desiderio. Desiderio cose totale da strappare radici, da sfidare cicloni”. Oggi i figli e le figlie della Somalia distrutta affrontano uragani e oblio ma il desiderio rischia di trasformarsi nell’impossibilitr persino di sognare.

L’amica d’infanzia di Barni ha un padre che fa avanti e indietro dalla prigione per motivi politici e una mamma italiana: dunque per lei, Domenica Axad c’c un doppio nome ma anche due teste curiose – “siamo spugne noi mescolati” – che in molte circostanze si escludono, litigano fra di loro, senza mettersi d’accordo. Un rischio ricorrente per molti iska-dhal cioc misti, nati da genitori di provenienze diverse. Identitr mobili, “tutti nei momenti difficili ci inventiamo appartenenze”. Eppure perfino il colore della pelle c percepito soggettivamente: “poiché c assai improbabile che il sole d’inverno abbia potuto piu dei perenni raggi equatoriali, si capisce come sia il contesto intorno a modificare la percezione della realtr”.

Termini a Roma, come altre stazioni nelle grandi cittr, c “piena di dolore”, luogo di incontro e di partenze per chi, “fagotto carico di sofferenza”, viene respinto. “Crocevia, coagulo di dolore, anticamera dell’oblio” ripete anche Axad. “Una malattia di troppe solitudini” che, in forme molto differenti, colpisce profughi, migranti, sradicati, “vita slegata, vita senza luoghi”. Espropriati, “anche dell’anima”. Si fugge dalla disperazione e dalla povertr ma si scopre anche, dice Taageere, “quanta tristezza c’c in Occidente […] non ce li possiamo immaginare tanti vagabondi quando siamo giu e sentiamo parlare di quei Paesi che stanno bene”. La coraggiosa Barni, ostetrica di bimbi e insieme levatrice di memorie, riflette – su un trenino, forse non c un caso – come “il dolore ribalta lo sguardo della gente”. Si va avanti perché “se dovessimo ricordarci tutta la tristezza del mondo non potremmo sopravvivere”. A libro finito chi leggendo avrr avvertito una qualche fitta dalle parti dei polmoni… avrr imparato a guardare le stazioni e chi le frequenta – in cerca di volti e Paesi perduti – con altri occhi.

Sono due quasi sorelle [“lei era la mia seconda anima, il mio completamento”] che si ritrovano, ognuna con una sua forza sofferente, dopo decenni; intorno uomini che molto piu di loro restano in balia degli eventi perché incapaci di prendere una direzione netta: “si sentono inutili […] non occupano piu il luogo delle decisioni”. La trama di questo libro c importante eppure non si pun, soprattutto non si deve raccontare in modo ordinato: perché fondamentale c come viene scavata e anche come scorre nei diversi punti di vista, nelle tante zone d’ombra fra il reale e l’interpretazione. Quando incontra un funzionario – o una spia? – ecco Taageere chiarire: “se non ti sta bene come racconto, allora porta le tue domande da qualche altra parte. Io sto seguendo un logicammino”. Parola nuova, logicammino, ma cose necessaria che probabilmente da oggi Cristina Ali Farah ne farr dono a tutti noi: ringraziamola percin e da oggi facciamone buon uso. “Il mio c un modo concentrico di raccontare?” chiede Barni alla giornalista che immaginiamo sconcertata. Ma i frammenti di storie si mescolano, c inevitabile. E nel narrare non c facile “discernere cin che c esterno al mio proprio personale. Viviamo forse distinguendo?”. I dettagli sono troppi? “E’ un fitto ricamo”. Di nuovo Barni, levatrice di vite e di vicende che faticano a uscire, rammenta che “quando devi raccontare riaggiusti qua e lr, colmi lacune, recuperi dimenticanze. Ma per ricordare basta un dettaglio”. Sembra talvolta che i personaggi diano voce ai dubbi di Cristina Ali Farah. Ma c un amo per chi legge. L’autrice si mostra maestra nel cambiare ritmo, evidenziando come le storie talvolta si dispongano come fili di un gomitolo dopo che un gatto lo ha fatto rotolare e aggrovigliato mentre in altri passaggi invece procedano dritte come spade per colpire piu velocemente noi lettori. “Racconti una storia e ne viene fuori una completamente diversa. Magari dico una frase sopra pensiero. Oppure un discorso salta fuori cose, separato dal contesto”. Anche per questo si avverte in “Madre piccola” un lavoro di cesello su alcune frasi-chiave per asciugarle e farle diventare quasi versi o colpi al cuore. Poco importa a chi legge che questo sentenziare, riassumere, scolpire appartenga almeno in parte alla tradizione [l’antica orale o quella freschissima di una lingua scritta costruita a tavolino?] somala o piuttosto al personale estro dell’autrice. Forse c anche un ponte gettato fra noi che leggiamo e “il somalo, lingua con una struttura sintattica e un’organizzazione del pensiero assai diversa da quella italiana”. Alcune di queste chiavi e architravi d’improvviso aprono alla comprensione, proprio dove la vicenda di “Madre piccola” appariva piu aggrovigliata. Ci traghettano dall’altra parte come ogni buona mediazione culturale tenta di fare. In qualche punto bisogna saper attendere. “Ascoltare. Non si dice che c virtu divina?”. Veniamo ricompensati capendo. Il vecchio Verne proponeva un fascinoso giro del mondo in 80 giorni; il narrare “concentrico” di Cristina Ali Farah propone un ben piu complesso giro del giorno [o poco piu… dipende dal ritmo di lettura] in 80 o piu mondi. “La storia c rimasta ingarbugliata negli scontri ma il bandolo si ritroverr, ne sono certa” annuncia Barni nell’epilogo.

Già pubblicato su www.carta.org

Madre piccola. Romanzo. Cristina Ali Farah. Editore Frassinelli. 2007 – ISBN: 887684953X. Pp: 271 – Prezzo: € 17.00