“Più nulla da perdere” di Najwan Darwish

Una recensione di Monica Buffagni

Ironico, graffiante nel silenzio, tagliente come lama affilata nel ghiaccio e delicato come il sussurro tiepido del vento tra gli alberi di primavera, avvolgente come di consueto, Najwan Darwish ci consegna “Più nulla da perdere” (Il ponte del sale editore, dicembre 2021), raccolta poetica con la prefazione di Franca Mancinelli e la traduzione dall’arabo di Simone Sibilio.

L’opera, precedentemente uscita in lingua inglese a New York nel 2014, successivamente in arabo (Gerusalemme, 2020), per approdare ,infine ,a questa ottima versione italiana, è divisa in sette sezioni e raccoglie scritti a cavallo tra il 1998 e il 2013, in un articolato e variegato caleidoscopio, nel quale si mescolano afflati, timbri, situazioni e registri diversi, sottilmente legati da profonda coerenza, un filo rosso di convinta scrittura autoriale.

La intensa e vibrante traduzione di Sibilio, che definisce, permea, possiede e scolpisce, interpreta e sottolinea sottovoce la poesia di Darwish, la lima in una lingua nitida e chiara, capace di rendere la potenza espressiva dell’autore, reale ponte tra culture, oltre le sfumature della complessa danza che impegna il traduttore, sfida sottile ,talvolta ambigua.

Mi piace qui sottolineare, ancor prima di qualunque notazione, i colori centrali e nodali di Darwish, i temi-simbolo che lo dipingono, pennellati sui versi lievi e assoluti, crudi e leggeri insieme, dai toni di un verde palude in attesa di divenire smeraldo abbagliante “…sei tu che hai vissuto come questi alberi/ senza terra né radici./ (da “Come questi alberi”- sezione 2 Tre chiodi, p 28).

Gli alberi oscillanti, l’aria che accoglie la caduta, la terra che non può permettersi di accogliere divengono tratti consueti e distintivi della scrittura poetica dell’autore, in trasfusione ed intimo contatto con la natura, sia simbolo della condizione dell’oppresso, sia interlocutore privilegiato del dialogo interiore sulla propria umana esistenza. Il viscerale, atavico, profondo e ineluttabile, quasi indesiderato, a volte, attaccamento alla terra come origine di sé e della propria identità, appare evidente e bruciante “..ascolto la terra/ascolto l’erba che la fende./” ( da “Più nulla da perdere”, sez 2 p 23). Si colora di bruno, di un intenso noce screziato di senape, la ricca terra umida e martoriata, la terra amata ,tormentata, terra -madre accogliente e matrigna arcigna e respingente per altrui scelta, origine e meta , ponte tra il sé e l’altro da sé. La stessa lirica, che offre anche il titolo alla raccolta, rivela, quasi suo malgrado, l’intensa carica di passione con la quale il poeta declina il suo rapporto con il mondo, la situazione del sé, del suo Paese, del mondo stesso come contenitore dell’umanità. “Per amore abbiamo perso la testa,/ e non abbiamo più nulla da perdere. ”recita ,dunque, Darwish, riunendo il passato e il presente, ricordando il primo come fondamentale passaggio, invitando ad un salvifico oblio nell’istante presente, quasi a sbranare la disperazione della sofferenza in un anelito di vita inatteso e inespresso.

Non fa sconti a nessuno, l’autore, inchioda ognuno alle sue responsabilità, alle sue scelte, a quanto è stato e non va cancellato, ma allo stesso tempo si apre ad ogni componente della comunità umana, in particolare agli oppressi, senza chiusure, negazioni ed esclusioni, superando il dualismo tra interno ed esterno non solo della propria identità, ma anche della Storia stessa. ”Sveglio più che mai/ e da prima dell’eternità/ il mio risveglio è onda spumeggiante/ (da “Sveglio “p 39), dichiara il poeta, incrociando la orgogliosa e maestosa leggerezza che spuma sull’oceano allo stesso suo Paese, in una presa di coscienza intensa e senza remore, che non esita a mettere in gioco la sua stessa vita, una attiva consapevolezza che protegge i sonni altrui. Se le tinte scarlatte di vigorosa passione e tensione sociale e politica, intesa qui come funzione sociale e pubblica della poesia, secondo la cultura araba classica, come ruolo del poeta-guida di una comunità, tinte accese eppure delineate con lieve ironia e voce sottilmente chiara, fanno di Darwish un esponente del filone poetico di impegno -pensiamo alla “poesia della resistenza”, che affonda i suoi tratti nodali nella cultura araba a cavallo tra gli anni 60 e 70-, se, dunque, esiste questo lato nella poetica dell’autore, è altrettanto evidente che esso convive con un aspetto più moderno-potremmo definirlo così-, che tende a valorizzare la poesia in prosa, a rivalutare e scoprire la narratività del linguaggio poetico.

Questa modalità di osservazione della realtà, di possesso della parola poetica che tenta di superare il lirismo classico e reinventa, ridefinisce il verso libero, caratteristica della seconda metà degli anni Novanta nella cultura arabo-palestinese, raccoglie ed esemplifica, nel racconto di storie e momenti narrativi attraverso una lente sfumata e nitida insieme, temi e modalità cari a Darwish e ben presenti nella raccolta.

L’alternarsi degli stili e delle forme poetiche, così come della lunghezza delle liriche ricorre attraverso tutte le sezioni, in una sorta di carta di identità del poeta stesso, che, non a caso, intitola in questo modo anche la poesia di apertura del volume, una dichiarazione di intenti che pennella la sua poetica con decisione, in cui “..non c’è uomo libero che non sia mio parente/non c’è un solo albero o una sola nube a cui non debba qualcosa/ (da “Carta d’identità, sez 1 p19).

”L’identità, culturale ed umana, geografica e morale, si allarga e avvolge l’altrove, trovando comunanza laddove c’è la differenza, in una identificazione profonda del proprio sé con quello dell’altro. Nella identificazione stessa con l’altro risiede la ricerca di una collettiva pacificazione della Storia umana.

Numerosi sono i richiami alla città come luogo -simbolo di una vita ,di una identità, di una storia; ecco, dunque ,Gerusalemme, terra di contraddizioni, oppure Haifa, luogo del vivere quotidiano, quasi un miraggio intimo e coinvolgente, finanche Il Cairo e il suo frastuono, così come altre località, teatro di eventi tragici e simbolici della storia palestinese.

L’estraneità della identità nascosta, il senso della provvisorietà, il viaggio come fuga e ritorno interiore e necessario sono efficacemente espresse in “Una camera d’albergo” (p 50), in cui “sono sempre gli incubi le tue lenzuola”.

Si legge su diversi livelli la raccolta, e la poesia di Darwish in generale, così come la già citata variegata modalità espressiva; da quello più intimo e personale, a quello più di impegno, passando attraverso infinite sfumature e declinazioni, che ogni lettore ritrova dentro di sé, in base alle sue esperienze e riletture del reale, dipingendole di toni molteplici, in una sensibilità di tipo pittorico, dove il dato visivo si fa partecipe del lavoro interiore. Ci invita alla riflessione, antica eppure sempre nuova come appena abbozzata, sul ruolo della poesia e della lingua della poesia stessa, voce libera, voce del singolo e della collettività insieme, chiave ribelle del rapporto dell’uomo con la sua realtà. La lingua della poesia -si dice nella prefazione al libro- è antidoto alla disillusione del reale, all’arroganza del potere; allo stesso modo, la lingua della poesia rappresenta la più completa e intensa espressione sulla condizione umana, dalle infinite sfumature, che si sottraggono ai confini, ai limiti e permettono la discesa nelle profondità del sentire, in una armonica ricerca di confronto, dialogo, conciliazione tra identità e alterità, alla ricerca di terreno comune e condiviso, in una migrazione umana, personale e collettiva, prima ancora che culturale.

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Segnalo qui volentieri, proseguendo sugli stessi temi di riflessione e di ricerca poetica ,che liriche di N. Darwish, di S. Sibilio , di Monica Buffagni e di numerosi altri poeti di spessore saranno contenute nel volume antologico “Il canto del Mediterraneo”, a cura di Monica Buffagni, in preparazione per PoEtica dell’editore Multimage, in uscita prossimamente, con le traduzioni di K.Metref, S.Sibilio, O.Torquet, D.Arpaio e altri validissimi poeti, autori, traduttori .

Monica Buffagni. Tutti i diritti riservati.